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Yoga

LE DIVERSE VIE DELLO YOGA

Lo yoga più conosciuto ed insegnato è soprattutto l’hatha-yoga cioè quello yoga che si cura principalmente del corpo e della mente, avvalendosi di tecniche psicofisiche, in particolare posizioni corporee ed esercizi di controllo del respiro. L’hatha-yoga, sebbene in occidente si tenda a identificarlo tout court con lo yoga, è in verità soltanto una delle possibili vie che lo yoga, come filosofia e visione del mondo, propone all’uomo per superare lo stato ordinario di esistenza in vista di una realizzazione superiore. Queste diverse vie (marga) non devono però essere intese come strade divergenti. Esse non si escludono a vicenda, ma si integrano:
perciò chi si dedica allo yoga può e in una certa misura deve conoscere le altre forme di yoga.
Esse sono:

JNANA YOGA O «YOGA DELLA CONOSCENZA»
Utilizza il potere dell’intelletto, lo concentra eliminando tutti gli elementi di disturbo provenienti dai sensi. Ha come punto di partenza la volontà di conoscere, l’umana aspirazione alla verità della mente umana. Viene applicata una ferrea disciplina per calmare i moti del mentale costantemente distratto dai sensi: il praticante deve rinunciare ad ogni vincolo affettivo, materiale e culturale, vincere il conformismo delle religioni ritualistiche abbandonando l’uso del cerimoniale. E’ la via dell’asceta rinunciatario che sopporta i disagi di una vita molto austera priva di gratificazioni sia fisiche che psicologiche. Attraverso questo disprezzo e maltrattamento della propria individualità il praticante cerca di far emergere nella meditazione il senso di autoappagamento e di libertà dal mondo. La pratica meditativa passa attraverso severe fasi di rieducazione in cui si distingue con la riflessione ciò che è eterno da ciò che è effimero ed illusorio, l’obiettivo finale è sì il nirvikalpa samadhi ma come esplicito rifiuto di tutte le espressioni dell’immanente. Pur partendo dall’accoglimento e dallo sviluppo della dote umana dell’intelletto questa via procede attraverso un drastico rifiuto dell’umanità e del mondo di cui disprezza tutte le espressioni. Ovvero, la via non è percorsa nel senso di una integrazione del divino nell’immanente tramite l’esperienza data nel samadhi di assenza di dualismo tra creatore e creato: l’immanente è giudicato come totalmente illusorio e quindi annichilito attraverso la progressiva ascesi. E’ una delle vie esperimentate dal Buddha nella prima fase della sua ricerca. Da questo tipo di mortificazione e di rifiuto del mondo egli vide che non poteva sorgere nessuna luce: è avversione per l’immanente, sua negazione, che sta psicologicamente alla pari del suo opposto, la brama, il desiderio ed attaccamento alle cose del mondo. Ed anche negli Yoga Sutra di Patanjali si individuano come ostacoli alla realizzazione i due poli opposti di “attaccamento o avversione alla vita” (II-3). Il nirvikalpa samadhi non è un ovattato oblio, non è mero stordimento per non sentire e quindi non soffrire: è la visione della Realtà per quello che è, è adesione ad ogni istante salvando la capacità di fluire con l’istante, è “essere”, senza attaccamento, qui ed ora.

KARMA-YOGA O «YOGA DELL’AZIONE»
Attraverso questo Yoga si concentra il potere essenziale della vita: a nessun individuo è dato mai di cessare di agire, anche nella quiete più immota le cellule continuano a riprodursi, il cuore a battere, il respiro a fluire. La Gita si esprime duramente nei confronti di quegli asceti che esteriormente hanno prodotto non attaccamento, abbandonando il mondo ed ogni avere ma che nella solitudine del loro eremo bruciano interiormente di desiderio. La rinuncia, dice l’auriga di Arjuna, deve essere interiore: nel silenzio della mente, sedato ogni egoistico desiderio, il praticante può muoversi per le vie del mondo e non produrrà nuovi agganci alla catena karmica. L’ideale del Karma Yoga è l’azione spiritualizzata che si può manifestare in più gradi. Il primo grado è l’azione in quanto rituale sacro: nella Gita si fa riferimento al rituale vedico come atto per collegarsi con il divino. Il rito, assai complesso dal punto di vista simbolico e delle formule mantriche da recitare, è gestito dal brahmino ed è un mezzo per accumulare meriti o per ottenere dalla divinità particolari intercessioni. Il secondo grado è dato dall’azione caritatevole nei confronti del prossimo. E’ un tipo di azione non ritualizzata ma ancora prodotta per ottenere benefici karmici. Il terzo tipo di azione è quello scaturito dallo stato di unione prodotto da uno yoga senza errore che produca nel praticante la vera libertà spirituale: è l’azione spirituale per eccellenza, altruistica, disinteressata, prodotta per il progresso del umanità intera attraverso il prossimo. Mentre il limite dei primi due gradi di Karma Yoga è interno al calcolo di partenza, ossia nell’agire anche in maniera esemplare ma per ottenere un personale vantaggio , nel terzo tipo lo yukta (colui che è in stato di unione) non attende i frutti dell’azione poiché, distrutto ogni attaccamento, vanificati i richiami dell’ego, senza desiderio poiché già appagato in sé stesso tramite la realizzazione, compie l’atto per giustizia e quando è utile e proficuo per l’evoluzione della coscienza umana.

BHAKTI YOGA O «YOGA DELLA DEVOZIONE»
Attiva, esalta e concentra il potere del cuore, utilizzando il sentimento umano dell’amore con crescente orientamento spirituale. Richiede un presupposto fisso che è quello della ferma fede nella Personalità di Dio, capace di entrare in intimo contatto con il devoto. Sradicata l’ultima resistenza dell’ego, l’individuo si abbandona completamente al divino. E’ un processo naturale, una spontanea attrazione per ciò che è simile che si basa sull’equazione Brahman=Atman, ove il Brahman è l’oceano e l’Atman una goccia, un’onda nella sua infinita distesa. Il Bakti Yoga partendo dalle radici naturali del sentimento umano può essere una via molto rapida, infatti non è mediata dal mentale poiché evita le difficoltà intellettuali di uno yoga della conoscenza. Tuttavia la completa maturità spirituale esige che si esca dai vincoli dell’emozione e del personalismo: il rivolgersi a Dio come Padre, Madre o Sposo implica l’utilizzo di figure archetipiche molto potenti, ma il divino non è né madre, né padre. A volte poi, essendo mancata una adeguata educazione delle vie spirituali (nadi), l’energia improvvisamente risvegliata produce un profondo turbamento nel devoto che spesso cade in deliquio dando sfogo scompostamente al suo raptus sacro. Questo, oltre a poter ledere l’efficienza dell’individuo, non è sintomo di una corretta pratica spirituale che si dovrebbe poter tradurre in calma energia creativa. Inoltre, il ricorrere alla personalità di Dio implica una caratterizzazione del divino che ne fa , con quei precisi connotati, con quelle caratteristiche ed attributi, il Dio di un popolo, di una stirpe di una razza. Questo produce attaccamento affettivo o, peggio, orgoglio nazionalistico a danno di una visione cosmica della Verità. Tuttavia questa via rimane preziosa poiché, ad un certo livello, è fruibile da molti con spontaneità; l’auspicio è che la devozione dia luogo presto ad un’autentica unione, all’illuminazione in cui sia le funzioni discorsive dell’intelletto che quelle affettive vengono trascese.

HATA YOGA O «YOGA DELLA FORZA»
Parte da un’educazione del corpo e ne fa un valido strumento per la vita spirituale. I mistici che trascurano il corpo, gli asceti che lo disprezzano spesso sono malati e muoiono prematuramente. Senza purificare ed allenare le strutture energetiche (nadi) ad un corretto fluire dell’energia difficilmente si avranno nervi saldi, in grado di sopportare il surplus energetico del risveglio di kundalini. L’Hatha mobilita le forze vitali, concentra il potere del corpo per sprigionare e far fluire liberamente l’energia psicofisica fondamentale, il suo interessamento al corpo grossolano, come i testi ci hanno dimostrato, è una scienza atta a facilitare la realizzazione del samadhi, meta comune di tutti gli stili yoga. Il rischio insito nell’Hatha Yoga è che si perda di vista proprio tale prospettiva finale. Il praticante può produrre un eccesso di attenzione per il corpo che può portare ad indifferenza per gli aspetti filosofici e sociali. Lo yoghin ottenuti precocemente insoliti poteri (siddhi), attraverso quello che doveva essere solo un preliminare addestramento sul corpo, può perdersi nella gratificazione data dall’esercitarli. Perduto il senso di un addestramento fisico propedeutico al training psichico, il praticante si abbandona ad eccentrici fachirismi. In occidente poi, questa cura esclusiva del corpo si trasforma spesso in edonistico autocompiacimento, con atteggiamenti estetizzanti totalmente esteriori, non uscendo da un cerchio sempre più stretto di egocentrismo.

RAJA YOGA O «YOGA REGALE»
Concentra le energie del corpo, del prana e, soprattutto, della mente: accoglie l’utilizzo di alcune asana e di alcune tecniche di pranayama, anche se non le sviluppa in maniera tanto ampia quanto nel sistema dell’Hatha. L’obbiettivo centrale è l’acquietamento delle onde del pensiero per il raggiungimento del nirvikalpa samadhi, così come descritto negli Yoga Sutra di Patanjali. Questa via è in sé limpidissima e completa ma può essere vissuta, come del resto tutte le altre, in quanto ascesi, isolata realizzazione, autoidentificazione statica nella pura trascendenza. Potrebbe mancare la fase dinamica di tale realizzazione, in cui il divino viene vissuto come immanente e nella storia. E’ questo il chiaro intento della Gita ove la via della conoscenza e la via della devozione confluiscono nel Karma Yoga: il realizzato rientra nel mondo attraverso l’azione, nel mondo vive la dimensione immanente dello spirito e dona il proprio contributo all’evoluzione dell’umanità.

YOGA TANTRICO
Il lavoro si sviluppa attraverso la concentrazione del potere dell’energia fisica e mentale. Esistono diversi tipi di insegnamenti tantrici, sia di tradizione induista che buddhista. In entrambe le culture vengono utilizzati in meditazione potenti simboli atti a collegare le polarità maschile e femminile dell’energia nel praticante per determinarne la trasformazione spirituale. Sono vie esoteriche cui si accede tramite un complesso rituale di iniziazione. Vi è come in tutte le altre forme di yoga una preliminare preparazione etico-morale, successivamente la spiritualizzazione avviene tramite il passaggio della “Madre divina”. Lo yoga tantrico è infatti strettamente connesso con la percezione della divinità nel duplice aspetto maschile e femminile: la perfezione atemporale, la saggezza eterna da una parte, la potenza del divenire, l’energia creativa universale dall’altra. Shiva e Shakti nella tradizione induista sono forme simboliche di tali polarità che si ritrova analoga nella tradizione del Buddhismo tantrico quando vuole realizzare la chiara luce della mente convogliando i “venti sottili” nel canale centrale. Stiamo quindi parlando di un processo analogo a quello innescato dal Kundalini Yoga qui perseguito con forme e tecniche che utilizzano ampiamente il simbolo, il rituale e la visualizzazione come tecniche di veicolazione delle energie durante la pratica meditativa. Lo Yoga Tantrico è, al contrario del Jnana Yoga, arditamente affermativo: non esistendo antagonismo tra natura e spirito, la mortificazione del corpo è sentita come offesa all’integrità dell’essere. Metodologicamente, quindi, non abbiamo qui la negazione e la repressione degli istinti umani, bensì una loro intelligente organizzazione affinché si possa approdare attraverso la natura alla trascendenza. Per ogni età esiste un tipo particolare di pulsione, così dal gioco, al sesso, alla socialità l’essere umano potrebbe sistematicamente giungere all’anelito alla trascendenza. Questa consequenzialità , bloccata da ego ed attaccamento, non sempre si realizza, o, quanto meno, avviene in ritardo, o sporadicamente, per cui il godimento della dimensione spirituale rimane un evento inaccessibile per la maggior parte degli individui. Utilizzando scientemente le basi naturali dell’essere come una scala, lo yoga tantrico produce per contro una rapida ascesa verso la realizzazione interiore. L’effetto è quello di trasformare, non di reprimere, le pulsioni fondamentali legate all’ego , incanalandole verso mete esistenziali. Il rischio, anche per questo stile metodologicamente così affermativo, rimane quello di dimenticare l’aspetto immanente. La natura allora, dopo essere stata “usata”, verrebbe dimenticata, una volta giunti alla meta della realizzazione spirituale. Allora, non preoccupandosi di far discendere il divino nel mondo e nella storia tramite la “giusta” azione della Gita, il viaggio dello Spirito si concluderebbe di nuovo nel personale, isolato nirvana.

KUNDALINI YOGA
Indica un lavoro diretto alla concentrazione e direzionamento di tutte le energie praniche verso il canale spirituale di Sushumna. Si è visto dallo studio dei testi classici che non esiste in realtà un Kundalini yoga davvero scisso da altri stili di yoga, soprattutto rispetto ad Hatha Yoga, Raja Yoga, Yoga Tantrico e Laya Yoga ( Laya, lett. “dissolvenza”, come trascolorare degli elementi l’uno nell’altro, dal più grossolano al più sottile, lungo il cammino della Shakti verso il settimo chakra, luogo della sua unione con il mistico sposo Shiva. Spesso usato proprio come sinonimo di Kundalini Yoga). Tutti perseguono l’intento di dinamizzare la Shakti statica, Kundalini, assopita alla base della colonna vertebrale, affinché possa elevare ed espandere la coscienza di chakra in chakra, fino all’unione con il Brahman. I cinque elementi, espressione dei cinque diversi e progressivamente più vasti livelli di consapevolezza, vengono così trascesi nella realizzazione del samadhi. Valgono quindi per il Kundalini Yoga i limiti degli stili di cui, di volta in volta, assume le forme.

KRIYA YOGA
Sotto questo nome ritroviamo il soave insegnamento di un grande Maestro della moderna era: Paramahansa Yogananda (1893-1952). Rifacendosi in maniera ispirata ai testi classici delle Upanishad e della Bhagavad Gita, si ritrovano nel suo amorevole messaggio le pratiche respiratorie, mantriche e meditative atte a condurre il sadhaka, passo dopo passo, verso il samadhi, senza incertezze, poiché sempre sostenuto dai cristallini supporti della tradizione.
Il Kriya Yoga (i cui gradi sono quattro), tramite una semplice, sicura e rigenerante pratica di respirazione, agisce sui centri sottili dell’uomo (chakras), determinandone il risveglio. Il respiro viene guidato lungo la spina dorsale e nei centri del capo, dall’alto in basso, e viceversa.

“Il Kriya Yoga non ha nulla in comune con i non scientifici esercizi di respirazione insegnati da alcuni zelanti mali informati. I tentativi di trattenere per forza il fiato nei polmoni sono contro natura, e inoltre decisamente spiacevoli. Il Kriya invece è accompagnato fin dall’inizio da un senso di pace ritemprante, e dà sensazioni calmanti nella spina dorsale, che producono un effetto rigenerante.
Quest’antica tecnica yogica trasforma il respiro in sostanza mentale. Con l’evoluzione spirituale si diviene capace di riconoscere il respiro, quale un atto mentale: un respiro di sogno.”

Paramahansa Yogananda – Autobiografia di uno Yogi

PURNA YOGA
Inizia laddove normalmente tutti gli altri yoga finiscono. La sua meta ultima è l’autointegrazione completa dell’Essere in cui saggezza, amore, pace, azione sono tutti inseparabili aspetti dell’Unione integrale (Purna, lett. “integrale”). L’illustre esponente di tale insegnamento è Sri Aurobindo (1872-1950), il grande Maestro di Podicherry. Sostanziato dagli insegnamenti della Bhagavad Gita, il Purna Yoga fa presente che la conoscenza perfetta è inseparabile dall’Amore e dall’Azione: la Libertà va quindi portata “nella” natura e nella società e non intesa come libertà “dalla” natura e dal sociale. Più che intendersi come stile particolare di yoga si può definire come integrazione della via yoga nella vita attiva (di conseguenza a particolari riflessioni sui testi del Veda e del Vedanta) . Rappresenta l’ideale sviluppo di ogni stile yoga, come superamento del dualismo fra trascendente ed immanente.

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